Ho intervistato…

Questa cosa non è affatto nuova: le interviste impossibili sono il titolo di un programma della Rai andato in onda nel 1974 (primo ciclo) e nel 1975 (secondo ciclo) e curato da Lidia Motta.

Molti altri autori si sono cimentati in questi dialoghi inesistenti: la cosa mi ha sempre molto divertito, così lo faccio anche io.

Non c’è molto altro da dire sulla questione.

Buona lettura.

Lev Nikolàevič Tolstòj

Luogo/

Lago di Ginevra

Tempo/

Autunno 2020

Contesto/

Due poltrone, un tavolino con un samovar, luce naturale. Lev Nikolàevič Tolstòj è già seduto, sta osservando il lago. Quando entro non si volta subito, poi mi guarda.

Intervista/

Io – Buongiorno, mi scuserà se sono un po’ nervoso: è dovuto all’emozione di incontrarla.

Toltoj – Immagino si renda conto che tutto questo è dovuto alla sua immaginazione. Non capisco l’emozione: è tutto nella sua testa. Un costrutto.

Io – Sì certo, ma immedesimarsi fa parte del gioco. Un po’ come giocare a scacchi contro sé stessi.

Tolstoj – Pratica assurda in sè.

Io – Preferisce interrompere?

Tolstoj [sorridendo] – No, no: che posto è questo?

Io – Una casa in riva al lago di Ginevra.

Tolstoj – Chiama ‘casa’ questa? È casa sua?

Io – No, è solo un posto che mi ha colpito.

Tolstoj – Lo trovo orrendo: dobbiamo stare qui?

Io – No, certo che no. Preferisce uscire? Possiamo passeggiare.

Tolstoj – Preferirei certamente: par di stare in un acquario.

Nota/

Usciamo per passeggiare lungo il lago.

Io – Partirei dal fondo, perché l’idea di questa intervista parta da alcune riflessioni che ho fatto dopo aver letto i suoi ultimi libri, in particolare ‘Sulla vita’ e ‘La confessione’.

Io – Per quel che ha visto, che ne pensa del nostro mondo?

Tolstoj – Di tutto quel che ho visto, letto, ascoltato mi hanno impressionato ben poche cose.

io – Me ne dica una.

Tolstoj – Il genere musicale chiamato jazz: ho ascoltato un musicista chiamato Branford Marsalis: mi è piaciuto. Anche una formazione chiamata ‘Sex Pistols’. Mi è piaciuta anche una canzone intitolata ‘Heaven’, di una banda che credo abbia a che fare con le pellicce e la psichedelia.

Io: Come lo vede questo mondo?

Tolstoj – È sempre lo stesso: prevaricazione, falsi miti, bellezza e lordura mischiate come solo l’uomo sa fare.

Io – Non l’ha incuriosita nulla?

Tolstoj – Se mi aveste chiamato quando ero giovane forse sì. Adesso vedo le cose con occhi da vecchio: il 2020 non è così diverso dal 1910. Ricchi, poveri, re e sudditi: cambia solo la terminologia per definire la stessa realtà.

Io – Era piùottimista nel, scrivendo…”

Tolstoj – Probabilmente ero ottimista sui tempi.

Io – Nulla di quello che ha scritto ha avuto la benchè minima applicazione

Io – Ha detto di Dostoevskij: ‘nonostante l’orrenda scrittura in lui si trovano pagine straordinarie’. Continua a pensarla così?

Tolstoj – Certamente. Scriveva come pensava e questo non è mai buono; però pensava cose forti e grandi.

Io – Non vi siete mai incontrati.

Tolstoj – Non avevo motivi per parlare con lui. Credo che neanche lui avesse una gran voglia di incontrarmi. Perché avremmo dovuto? Per dirci cosa? All’epoca c’era questa smania di organizzare un evento che ci vedesse nella stessa stanza, ma sembrava più un modo per dare spettacolo…Qualcosa che da un punto di vista letterario, o artistico o chissà cosa avrebbe potuto essere paragonato a un grande incontro tra due generali al comando di truppe fatte di parole, frasi, capoversi…Era tutta una stupidaggine.