E così anche questa ennesima edizione del Torino Film Festival è andata. Non faccio commenti su quanti spettatori, biglietti staccati, vips del cinema premiati, anche se sembrano tutti molto contenti, a cominciare dal direttore Giulio Base, riconfermato per la prossima edizione.

Mi limito al mio personalissimo bilancio di pellicole viste: 15 lungometraggi e 7 corti. Nessuno si preoccupi, non parleremo di tutti, ci vorrebbe un volume a parte. Cominciamo dal vincitore “The garden of the eartly delights”, dell’olandese Morgan Knibbe: una storia durissima, ambientata in una baraccopoli di Manila, nelle Filippine, tra ragazzini giovanissimi immersi nella violenza, la droga, la prostituzione. [un trailer migliore, non si trova!]

Poi segnalo “Diya”, ambientato in Ciad, che riprende una tradizione ancestrale di vendetta e onore; “Mo papa”, ambientato a Tallinn, dove un ragazzo che ha cagionato la morte del fratellino, torna libero dopo anni e cerca di ricostruire un rapporto col padre. “Cinema Jazireh”, storia molto toccante nell’Afghanistan dei talebani, con una donna in cerca del figlio.

Infine “Pillion”, presentato fuori concorso, dove il timido e goffo Colin si innamora di Ray, motociclista più grande di lui, con cui instaura una relazione bdsm: un argomento che mette a disagio perchè considerato tabù, raccontato con sincerità brutale e capace di far sorridere in più di un passaggio. A questo proposito, segnalo tra i cortometraggi visti, il lavoro del mio amico Matteo Giampietruzzi, con una storia che ha molte similitudini: titolo “La moto”. Se riuscite, recuperatelo!

“Ida who sang so badly even the dead rose up and joined her in song”, ha vinto il secondo premio, ma non mi ha entusiasmato. Le vere note dolenti, personalissima opinione, le riservo a “Il protagonista” film italiano troppo pretenzioso, ma con poca sostanza; “L’anatomia de los caballos”, storia peruviana di grande impatto visivo, ma di una lentezza e noia esasperanti; “Todas las fuerzas”, altra pellicola perfettamente evitabile e “Fucktoys”, che ho ampiamente detestato, anche se è piaciuto a tante persone e ha fatto guadagnare un premio alla sua protagonista.

Infine, dato che il Festival era dedicato a Paul Newman, a cento anni dalla sua nascita, mi sono concesso tre suoi film: “La gatta sul tetto che scotta” (1959), “Il verdetto” (1982) e “Era mio padre” (2002). Ruoli diversi, epoche lontane tra loro: lui sempre bellissimo (quegli occhi azzurri indimenticabili), ma soprattutto bravo (non a caso nominato agli Oscar per tutti e tre i ruoli!).

Ci vediamo il prossimo anno, con l’edizione 2026 dedicata a Norma Jeane Mortenson, alias Mailyn Monroe!

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